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PAPAS BERNARDO BILOTTA
Uno degli uomini più famosi italo-albanesi nel campo della cultura e del
patriottismo è, senza dubbio, papas Bernardo Bilotta. Egli nacque a
Frascineto il 29 novembre 1843, da Emanuele Bilotta e Francesca Martire,
genitori onorati. Studiò a S. Demetrio Corone, nel Collegio di S.Adriano,
che fu per molti anni il luogo dove si plasmarono le menti più illustri
degli Arbëreshë di Calabria. In quel Collegio Bilotta studiò gratis, già dal
secondo anno di frequenza, perché era molto intelligente e studioso.
Ordinato sacerdote di rito bizantino nel 1866, si diplomò anche come maestro
di scuola elementare e insegnò nelle scuole di Frascineto fino al 1873,
quando sostituì, come parroco di Frascineto, papas Michele Bellusci.
Bilotta si interessava non solo di pedagogia, filosofia e teologia ma anche di
lingue e le letterature classiche e moderne; ma l’amore più grande lo nutrì
per la lingua albanese, che chiamava “divina”. In lingua italiana scrisse
molte opere filologiche sulla lingua albanese, e le pubblicò dal 1893 al
1915.
Il 9 agosto 1898, l’Accademia Nazionale italiana della Scienza, della
Letteratura e delle Arti, con sede a Firenze, onorò il Bilotta con diploma
di socio permanente. Simili diplomi gli vennero dati dall’Accademia
“Leonardo Da Vinci", con sede a Tortona; e dall’Accademia Internazionale
Partenopea, a Napoli. Fu anche socio del Comitato promotore del Congresso
Linguistico Albanese, a Corigliano, a cui prese parte nell’ottobre 1895,
insieme a De Rada, Argondizza, Camodeca, Ribecco, Lorecchio e altri. In
quella riunione di intellettuali, Bilotta presentò, con un discorso in
albanese, l’alfabeto della lingua albanese, che usava nei suoi scritti: era
l’alfabeto che Bilotta usò anche nell’opera “Shpata e Skanderbekut ndë
Dibret Poshtë”(La Spada di Skanderbeg a Dibre Inferiore). In una poesia
albanese, che lesse in quel Congresso, sollecitava così i partecipanti: ”Fate
attenzione nello studiare, nel parlare e scrivere bene questa Lingua, perché
la presentiate rinomata in mezzo alle Lingue del Mondo, e raccomandiate agli
intellettuali stranieri che la sapppiano apprezzare”.
Per quanto riguarda l’arte poetica del Bilotta, voglio qui segnalare il
giudizio di Gerolamo De Rada, il quale, donandogli una copia della sua Conferenza “Sull’antichità
della Lingua Albanese” si esprime con queste parole: ”All’amico e poeta
vero, arciprete Bilotta, con un “Bravo” dal cuore”. Ma le sue opere inedite
in albanese sono in numero maggiore e più importanti di quelle pubblicate.
Queste sono state tutte custodite dal nipote Agostino Giordano, mio padre,
il quale le consegnò a me, perché Bilotta gli aveva detto: ”Finchè non uscirà
un sacerdote dalla nostra famiglia, nessuno le deve toccare”. Bilotta iniziò
la sua attività poetico-letteraria nel novembre 1870, con l’opera “Mercurio
Dorsa”: quest’opera satirica conta più di 1500 versi settenari, e l’Autore
condanna le azioni violente di una associazione di persone guidata da un
caporione locale. Quest’opera, che è la prima in ordine cronologico, ci
manifesta i sentimenti di questo scrittore, il quale, essendo una persona
retta, non sopportava per nulla le ingiustizie degli uomini contro i loro
fratelli, in modo particolare contro i poveri e gli umili. Questa
caratteristica di stile e di pensiero, che non sopporta violenze e gioghi,
risalta in tutte le sue opere, anche in quelle religiose. Possiamo così dire
che Bilotta era veramente un rappresentante della razza albanese, con la
quale condivideva anche le sofferenze. La Novella-Favola, molto bella, dal
titolo “Il Tredicesimo”, che comprende quasi 2000 versi ottonari, non ha
data, ma dall’alfabeto usato, sembra risalire all’anno 1870. Quest’opera si
legge d’un solo fiato, per l’argomento e anche per la scorrevolezza del
verso. l'Autore le dava molta importanza. La povertà di una famiglia
numerosa viene sconfitta dall’abilità e dalla fortuna del più piccolo dei
tredici fratelli.
Nel 1874 iniziò il poema epico “La Spada di Skanderbeg a
Dibre Inferiore”. Tre redazioni incomplete sono del 1874, 1878 e del 1888; l’ultima
redazione completa è del 1890. Tutte queste redazioni ci dimostrano
come l’Autore desse molta importanza a quest’opera di 12 canti, con più di
10.000 versi senari-settenari. Ai 12 canti premette anche un altro canto
singolo, nel quale racconta un duello che Skanderbeg affrontò con un tartaro
gigante ad Adrianopoli; questo canto è composto da 56 strofe di sei versi,
senari e settenari, e fa parte della redazione del 1874. L’Alfabeto usato in
questa redazione è poco differente da quello dell’ultima redazione della
“Spada di Skanderbeg a Dibre Inferiore”. Anche le lettere sono molto chiare.
Nel 1888 Bilotta terminò la raccolta di 6000 parole della parlata di
Frascineto, in un “Vocabolario” di ca. 200 pagine. Il 18 luglio 1891 finì la
“Monografia di Frascineto”. Quest’opera storica si divide in 5 parti. La
quinta è incompleta, perché il racconto s’interrompe alle ultime vicende del
secolo XVIII. Questa Monografia comprende 332 strofe di sei versi, cioè ca.
2000 versi endecasillabi. Precede la Monografia un sonetto che inizia così:
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Su un pianoro largo, sassoso e luminoso/
Frascineto risplende ai piedi d’un monte/
ramo dell’Appennino bello e fiorito;/
ha acqua e vino e aria come il miele…
Anche se quest’opera non è molto documentata, resta una fonte
di notizie preziose, perché desunte dalla tradizione popolare, a cui gli
Arbëreshë furono e sono sempre fedeli.
Forse per completare la “Monografia”,
Bilotta scrisse l’opera “Gli Usi di Frascineto”, terminata nel 1894. In
quest’opera racconta gli usi, le tradizioni, i giochi, le feste che si
svolgono a Frascineto lungo i 12 mesi dell’anno. L’opera comprende 570
terzine, cioè 1710 versi endecasillabi. Il suo valore è grande perché ci
mostra l’amore del popolo arbëresh per gli usi patrii, riportandoci alle
loro origini o nell’Albania di Skanderbeg.
In quel medesimo manoscritto,
Bilotta inserisce anche “Il Fidanzamento, il Matrimonio, La Nascita e il
Battesimo”, con data 26 maggio 1894. Queste parti aggiunte comprendono 232
strofe, cioè 1329 versi endecasillabi. Il valore storico, folklorico,
psicologico e poetico di quest’opera è molto grande, perché l’Autore
trascrive fedelmente le notizie, penetrando nei sentimenti popolari e
presentandoci la vita semplice, onorata e operosa del popolo arbëresh fino
al secolo XIX. Bilotta si rammarica, negli ultimi versi, che questi usi
vadano dimenticandosi, con la modernizzazione della società umana, dopo l’
unità d’Italia, e dice:” …ma dal ’60 (1860, ndr.) la gente si è corrotta /
tanto che ogni buon uso è decaduto e spento!”.
Una delle opere più
voluminose è “La Bella del mondo”, che lui dedica, come segno di stima e d’
amicizia, al Cavaliere d’onore e famoso poeta e filologo arbëresh Gerolamo
De Rada, consacrandosi a lui come un discepolo molto devoto. Quest’opera è
una novella arbëreshe, finita il 22 febbraio 1895, che comprende 440
sonetti, cioè 6160 versi endecasillabi. Vi si narra di un giovane, figlio di
re, che con un cavallo fatato - dopo aver molto cercato e trovato le sue tre
sorelle, rapite dal Sole, dal Vento e dall’Orco - rapisce la Bella del
Mondo, che poi sposa con grande solennità.
Un’altra Novella il Bilotta la
finì di scrivere il 16-2-1896, titolandola “La Bella Gioia”, che comprende
ca. 2000 versi endecasillabi. Vi si narra la storia di un re, che manda un
cavaliere alla ricerca della Bella; ma costei, quando arriva davanti al
sovrano, esprime il desiderio di poter sposare l’amato e ardito cavaliere al
posto del re malvagio e infingardo, che poi viene ucciso con olio bollente e
con l’acqua dell’Inferno. In questa Novella l’Autore condanna la superbia
dei re ed esalta la semplicità degli oppressi.
Il 4 aprile 1903 Bilotta
inizia il “Minosse”, un’opera poetico-mitologica, composta da 24 canti, che
superano gli 8000 versi endecasillabi. Un’altra redazione di quell’opera,
con alcune aggiunte, la finì il 3-11-1909, e comprende 37 canti con 8664
versi endecasillabi. Ma l’Autore gli cambia il titolo con un altro: ”Scene
Orrevoli e Gioiose della Vita d’Oltretomba”. In quest’opera Bilotta,
ispirandosi alla Divina Commedia di Dante, è invitato dalla Fata a visitare
i tre regni dell’altra vita, dove impara cose sconosciute, conosce molti
personaggi della Storia antica, e riconosce anche alcuni concittadini di
Frascineto, e parla con essi. Una terza redazione del “Minosse”, molto
rifinita, la comincia il 18 aprile 1918, ma la lascia incompleta al canto
XVIII, in fondo al quale annota la data dell’8 giugno 1918, otto giorni
prima che la morte lo sorprendesse.
Il 30-9-1903 finì “L’Inferno”, un poema in 10 canti, che raccoglie 3276
versi endecasillabi. Quest’opera sembra essere la continuazione di “Minosse”
, perché inizia con queste parole:”Mi sono stancato, o mia Fata, a guardare
/ gli infelici accusati che se la passano male. / Aprimi altre porte, chè
possa vedere e imparare / meglio come la seconda vita è fatta”. All’Inferno,
l’Autore condanna non solo i criminali dell’Antichità ma anche i cattivi
suoi contemporanei. “La Vita della Madonna”, che comprende 7 canti di 1720
versi quinari, la finì il 18 maggio 1896. Il 31 maggio terminò anche “I
Morti”, dove racconta fatti incredibili e soprannaturali, e apparizioni di
morti; i 5 canti dell’opera comprendono 2000 versi endecasillabi. La
“Monografia di S.Nilo”, monaco santo basiliano di Rossano e fondatore del
Monastero di Grottaferrata, la scrisse in occasione del 900° anniversario
della sua morte. L’opera comprende 122 sestine di versi endecasillabi. Il
dramma comico “Don Chisciotte”, 3500 versi settenari-ottonari, è del 1908. L
’Autore vi racconta le gesta di un concittadino utopista e pazzo, e dei suoi
compagni. Il 26-6-1916 termina un’altra opera intitolata “La Vita della
Madonna”, composta da 127 sonetti. Altri 200 sonetti intitolati “Ai Santi
serviti da me in Chiesa” riportano la data del 21-12-1917. A queste opere va
aggiunta una grande quantità di favole e leggende, Canti Religiosi, Fatti di
cronaca, Proverbi e Discorsi – scritti tra il 1870 e il 1918. Queste
composizioni assommano a oltre 20.000 versi. Il 15-12-1905 terminò l’opera
satirica “Opere ignobili di persone indegne”, che aveva iniziato il 15
settembre dello stesso anno. In calce all’opera, l’Autore annota: ”Mi è
dispiaciuto dover imbrattare la penna, raccontando le opere ignobili di
persone indegne in poema e storia: ma li ho scritti perché siano condannati
dalla gente futura”.
In questa attività poetica Bilotta ha quasi raccolto l’
intera tradizione storica, novellistica e folklorica del popolo arbëresh di
Frascineto, e anche parte degli Arbëreshë di Calabria. Per questo i suoi
meriti verso il sangue albanese sparso, e verso l’Albania, sono stati, e
sono, grandi. E il suo nome sarà ricordato e lodato da tutti gli Arbëreshë e
dalla Madrepatria, amata e mai dimenticata.
Emanuele papas Giordano
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